Carissime madri e sorelle,
il Signore vi dia pace.
Non è nella consuetudine dei nostri appuntamenti far uscire il Notiziario Federale per S. Francesco. Ma il 2024 è l’anno in cui ricorre l’VIII centenario dell’impressione delle Stimmate e mi è sembrato opportuno dedicare uno spazio di condivisione a questo evento che ha preso il via il 5 gennaio scorso e a cui tutta la famiglia francescana ha dedicato e sta dedicando un tempo per celebrare quel fatto e per rileggerlo alla luce dell’attualità. “Dalle ferite la vita nuova” è il messaggio scelto dai Ministri Generali per il centenario.
L’immagine di Francesco sconta secoli di devozione approssimativa, di comunicazione superficiale, di agiografie edificanti — a partire da quella di Bonaventura, che ha costruito una figura di santo molto rispondente ai canoni pedagogici, cercando di controllarne la diffusione e cassando altre fonti. La fotografia che per secoli abbiamo guardato ne è risultata un po’ monocromatica: Francesco santo povero, Francesco santo ambientalista, santo folle, santo giullare, quasi disincarnando l’umanità per esaltare un certo tipo di santità.
Credo che il mistero delle stimmate ci obblighi a fermarci sull’umanità di Francesco d’Assisi, sulla concretezza e sulla verità della sua carne, delle sue ferite, delle sue crisi, dei suoi travagli, rimandando anche al grande mistero dell’Incarnazione del Cristo. Perché l’uomo che a La Verna incontra il crocifisso, fino a portarne i segni nella materialità della sua carne, è un uomo che sente tutto il peso della sua umanità fragile, debole, messa in ginocchio. Non possiamo dimenticare che quando Francesco sale nei boschi del Casentino è un uomo sconfitto: l’Ordine che da lui è nato, ormai numeroso, gli è ‘sfuggito’ di mano; i fratelli non ne riconoscono più l’autorità, arrivando a criticarlo, dividendosi tra loro, favorendo un’interpretazione meno rigida della Regola. È un uomo che sente una paternità spirituale sfuggirgli, che vede i fratelli intraprendere vie da lui non immaginate né volute, che percepisce una sconfitta. È un uomo, Francesco, e come tale sente tutta la debolezza e la tentazione del rifiuto, da subire o da agire. È anche malato, invecchiato, con problemi di vista. Avverte la solitudine e, soprattutto, sa che la morte non è lontana: che senso dare alla vita, dopo la conversione radicale al Vangelo? Dopo un’esistenza spesa per Cristo? Ne valeva la pena? Dare tutto per cosa, per chi?
Anche questo è Francesco nel momento in cui sceglie di vivere la Quaresima di san Michele inoltrandosi nelle foreste, alla ricerca di un po’ di ristoro, ma soprattutto – mi piace pensarlo – alla ricerca di risposte su quello che sta vivendo e che la sua vita, non lontano dalla conclusione, è stata. È un Francesco di dubbio e di lotta, di conflitto interiore e di buio.
Ed è lì, nell’abisso dell’abbandono, nella profondità della tenebra, che egli incontra nuovamente quel Crocifisso che aveva segnato l’inizio della sua conversione e guidato costantemente i passi della sua sequela. In quella circostanza l’umiliazione del Figlio di Dio diventa luce per la sua esperienza frustrata e ne riavvia il cammino verso un compimento luminoso.
Qui, forse, sta un grande messaggio per noi oggi: le stigmate non sono segni di gloria, ma primariamente di sconfitta. Per tutti coloro che vivono il dolore interiore, la sofferenza fisica, lo sbandamento, la lotta, per tutti coloro che attraversano nell’umanità lacerata la propria vicenda di fede, Francesco è figura di consolazione e di vicinanza. Non c’è un cristianesimo che possa essere vero senza la carne, nei momenti di luce e nei momenti di fatica, fino all’angoscia. Francesco ha provato la medesima afflizione e il medesimo smarrimento del Figlio crocifisso, fino a farsi lui stesso crocifisso. Ma lì, nella vertigine del nulla, ha sperimentato che l’abbandono può divenire dolorosamente liberante, perché può condurre a un affidamento totale al Padre. Qui c’è la santità, che è personale conformazione al Cristo, sorrette da quella grazia che solo il Padre da gratuitamente a ciascuno.
È perché Francesco non ha perso nulla della sua umanità che ha potuto arrivare a cantare, attraversando il fuoco della crisi, la grandezza del creato e delle creature; la bellezza e l’onnipotenza del Creatore. E può scaturire dal suo cuore il Cantico di Frate Sole, che nasce da una pace vagliata dal crogiuolo della croce, del fallimento, del non senso; scaturisce dalla tentazione, dallo sguardo sul precipizio molto ben rappresentato dalla natura del “sasso spicco”. La letizia che fa maturare in lui un nuovo orizzonte di significato è figlia della durezza della pietra de La Verna, dove le ferite di Francesco, numerose e profonde, sono state accolte nelle ferite del Crocifisso.
In un tempo di smarrimento, la forza del messaggio di Francesco è anche in questo: c’è una carne concreta e un’umanità vera, di ogni uomo e donna, che possono trovare ospitalità nel mistero di Dio. Una fede che non abbraccia l’umano, ma lo astrae, lo ignora o lo tollera è una fede che si allontana dalla rivelazione che Gesù ha fatto del Padre. Qui si radica la parola de La Verna.
Auguro ad ognuna di voi una buona festa del padre S. Francesco, abbracciandovi con stima e riconoscenza.
Sr Chiara Francesca Lacchini